Tutti vogliono vivere in cima alla montagna, ma tutto il divertimento e la crescita succedono mentre la si sta scalando.
Andy Rooney
La chiave di questi due giorni “di gruppo” è stata proprio il divertimento. Ci siamo sempre sentiti come se la vetta programmata fosse solo una naturale conseguenza e una “scusa” per stare tutti insieme. Proprio questo spirito ha fatto sì che le preoccupazioni fossero ridotte al minimo e dominasse il buonumore.
In piena armonia con quel clima gioviale, l’articolo è stato scritto con intervalli semiseri.
Primo giorno
La giornata di sabato si rivela essere molto più impegnativa del previsto, infatti alla partenza alle 8 da Genova e alle diverse ore di viaggio c’è da aggiungere anche ben quindici minuti di seggiovia per arrivare esattamente di fronte alla Hohsaashütte, dove dobbiamo persino già sistemarci per la notte e tutto ciò fa sì che non si riesca a godersi la meritata birra prima delle 16.
Programmi del genere non andrebbero proposti per una gita CAI, ma ad un raduno di skyrunner. Lo trovo quantomeno esagerato e quasi debilitante in vista della salita del giorno seguente.
Fortunatamente cena e colazione ci ricaricano le batterie e, seppur ancora quasi agonizzanti, riusciamo a trovare le forze di prepararci per la salita.
Secondo giorno
La partenza non è fissata prestissimo e ciò fa sì che le frontali diventino di fatto inutili dopo nemmeno un’ora di ghiacciaio. L’attacco non è ciò che più si possa trovare di “simpatico”, si risale il ghiacciaio per circa una cinquantina di metri di dislivello sulla destra orografica in maniera abbastanza discontinua, alternando ghiaccio e neve a sfasciumi e grossi blocchi da aggirare, il che quando il gruppo è diviso in nove cordate significa necessariamente alternare di continuo tre passi ad una sosta.
Appena però mettiamo piede sul pianoro soprastante, il ghiacciaio diventa godibile anche grazie alla quasi totale assenza di crepacci aperti.
Superato il pianoro ci godiamo una serie di ripidi traversi immersi nel freddo e nelle nuvole basse, il lato positivo è che tra nebbia e la nostra posizione a fondo gruppo nessuno ha notato le nostre pause pipì.
Il traverso ascendente in prossimità di un muro di seracchi (la Cattedrale di Ghiaccio) ci richiede molta attenzione perché già a inizio luglio comincia ad affiorare ghiaccio vivo e la traccia è larga quanto basta per una sola zampa.
Verso le 8:30 riusciamo ad uscire dalla coltre di nubi basse e a farci raggiungere dai primi raggi di sole: da qui in poi la salita diventa una spettacolare cavalcata in un susseguirsi di scenari e panorami che levano il fiato e sono molto complicati da descrivere a sole parole. La pista inizia un percorso sinuoso che alterna tratti ripidi per superare ripidi pendii ad altri più dolci, sino a sbucare al colle tra Weissmies e Rottalhorn a quota 3820m.
A questo punto Jack ci tiene molto che vi lasci un remind del fatto che non si scherza con il sole in alta quota!
Al colle ciò che ci si para davanti è uno spettacolo al quale chiunque dovrebbe assistere almeno una volta nella vita. No, non Giacomo.
Se a sinistra e a destra siamo fiancheggiati dalle creste che portano alle due rispettive vette e dietro di noi si estende il labirinto di seracchi del Triftgletcher sino al punto in cui le nubi basse ci permettono di vedere, è il “davanti a noi” a prendersi tutta la scena: come d’incanto, si mostrano a noi tutte le principali e più famose cime dello spartiacque italo-svizzero delle Alpi Pennine.
Monte Rosa, Lyskamm, Castore, Polluce, Roccia Nera e massiccio dei Breithorn…tutte, tranne il Cervino, la cui vista purtroppo ci viene negata dall’Alphubel e da qualche altro 4000m svizzero posto proprio tra noi e lui.
Dopo una breve pausa per riprendere il fiato dalla meraviglia e (forse soprattutto) dalla salita, percorriamo i restanti 100m di dislivello lungo la cresta SW con pendenze fino a 40° nella parte più alta, subito prima del pianoro sommitale.
Dalla vetta il panorama si apre anche sul versante est sulla sottostante Val Formazza e in lontananza fino al Bernina e oltre.
Scattate le foto di rito con (quasi) tutto il gruppo, ci viene dato il via libera per la discesa e non ci facciamo pregare, preoccupati dalle temperature a quell’ora (9:30/10) soprattutto in funzione del tratto intermedio che ci avrebbe visti ripassare nel labirinto di seracchi.
Se la salita ci ha richiesto quasi quattro ore, per la discesa ne impieghiamo meno di due, uscendo prima di mezzogiorno dal ghiacciaio. “Premi tasto rotola” è un piano di salvataggio che funziona sempre (per ora).
Piano piano il gruppo si ricompatta alla Hohsaashütte, incredibile il potere associativo della birra!
Recuperati tutti i membri, si saluta l’economico e simpatico rifugio e si sale sull’altrettanto economica seggiovia per tornare a valle e fare nuovamente rotta verso la patria e i caffè a 1€.
Anche quest’anno la gita sociale delle Gritte è stata un successo e, cosa ancora più importante, è riuscita a conservare lo stesso spirito sano e gioviale dell’anno precedente. Calma, serenità e leggerezza, la miglior ricetta possibile per vivere una grande passione comune.
Una menzione particolare vorrei dedicarla a Federico Nicora, per il secondo anno consecutivo Gritta più anziana del gruppo ad arrivare in vetta. Non serve specificarne l’età, si infurierà abbastanza già a leggere la dedica così com’è.
All’anno prossimo, Gritte!
Bellissimo non potevi essere più esaustivo complimento era megli mettere diversamente giovane ahahahahah