Punta Castore 4226m

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Chi non viaggia non conosce il valore degli uomini 

Proverbio arabo

E noi, con questo “viaggio”, abbiamo conosciuto un po’ meglio noi stessi. Non saprei dire se ne siamo tornati migliori, sicuramente diversi.

Punta Castore – il nostro primo “da soli”

Premessa
Questo scritto vuole essere esclusivamente un racconto soggettivo della nostra prima su questa
montagna e la nostra seconda in assoluto oltre i 4000 metri.
Perciò raccomando di non considerarlo come una relazione oggettiva sulle difficoltà della via e
dunque di non prenderlo di riferimento per un’eventuale futura salita, non abbiamo le capacità ne
l’esperienza necessaria per consigliare e/o guidare nessuno.
Nel caso questo articolo destasse in voi la voglia di misurarvi con questa via avremmo raggiunto il
nostro scopo, ovvero promuovere questa bellezza attraverso le nostre parole e far si che altri
possano goderne, ma giunti al punto in cui organizzerete la vostra ascensione contattate le Guide
Alpine e utilizzate i maggiori siti di riferimento in ambito di alta montagna.


La montagna
Con i suoi 4226m s.l.m. di altitudine, Punta Castore è la ventisettesima vetta delle Alpi ed è
situata al confine tra Italia e Svizzera, lungo lo spartiacque di confine che dal Breithorn Occidentale
porta alla Punta Dufour (Monte Rosa).
E’ la più alta delle due punte chiamate “i gemelli”, nome condiviso con il Polluce (4091m s.l.m.),
dal quale è separato dal Colle di Verra (3845m).
Fu salito la prima volta il 23 Agosto 1861 da parte della guida alpina di Chamonix Michel Croz i
clienti W. Mathews e F.W. Jacobs seguendo la cresta sud-est, la stessa che poi diventerà la via
normale.


Primo giorno
Mercoledì 11 agosto abbiamo fissato la partenza in tarda mattinata da Genova con arrivo intorno
alle 13:30 a Staffal, dove abbiamo giusto il tempo di sistemare le ultime cose negli zaini e mangiare
un panino prima di prendere la prima cabinovia del pomeriggio in direzione Sant’Anna (2175m) e
successivamente una seggiovia fino al Colle Bettaforca (2727m), da dove iniziano effettivamente
le nostre fatiche.
L’obiettivo di giornata è il rifugio Quintino Sella al Felik (3585m) da dove l’indomani mattina
partiremo per la vetta.
Dall’arrivo della seggiovia prendiamo una sterrata subito a destra che diventerà presto un sentiero e
si svilupperà in classico ambiente di alta montagna.
Lungo l’avvicinamento la vista è subito grandiosa, con i 4mila dal Monte Rosa sino ai Breithorn a
farla da padroni e catturare ogni sguardo.
Il dislivello totale da inizio sentiero al rifugio è di 973m, di cui i primi 750/800m li copriamo in
circa un paio d’ore, e arriviamo così all’ultimo tratto, il più atteso della prima giornata.
Gli ultimi 150m circa di dislivello vengono coperti percorrendo una splendida cresta rocciosa mai
davvero difficile ma comunque non banale e in qualche (pochi) punto abbastanza esposta, attrezzata
con delle corde a fare da corrimano e a rendere più tranquilla e sicura la salita.
Noi ci siamo presi tutto il tempo del mondo per godere degli scorci incredibili che questo luogo
offre, con una vista che spazia dalla valle di Gressoney a quella d’Ayas, dalle vette e i ghiacciai del
Monte Rosa alla Gobba di Rollin e il ghiacciaio di Verra, sovrastati dai 4mila del Breithorn.
Rapiti da tutta questa bellezza, impieghiamo circa un’ora a percorrere la cresta ed arriviamo al
rifugio, situato proprio alla fine di questo tratto e mai visibile se non a 50 metri dalla meta, in poco
più di tre ore dalla seggiovia.
Sappiamo essere un’enormità visto il dislivello da coprire, ma il non avere alcuna fretta unito alle
bellezze che circondano la salita e i 3500m+ di dislivello rispetto a Genova, nostro punto di
partenza quella mattina, ci hanno sicuramente rallentati, anche se queste sono evidentemente tutte
scuse.


Il rifugio Quintino Sella al Felik
La storia di questo incredibile riparo alpinistico inizia con l’inaugurazione della prima capanna il 15
agosto 1885.
Da quel giorno si susseguono molteplici spostamenti e ricostruzioni dell’edificio dovute al normale
degrado causato dalle intemperie e ad eventi straordinari come l’enorme frana che la notte del 4
agosto 1936 si stacca appena sotto al rifugio e trascina con se più di 300mila metri cubi di roccia
per una distanza di 3km e un dislivello di oltre 1200m.
Oggi questa struttura è composta dalla vecchia capanna datata 1945, che conserva il fascino di un
tempo ed è adibita per lo più a riparo invernale con i suoi 25 posti letto (anche se noi abbiamo
dormito proprio lì!), e dal “corpo” principale che è un rifugio diviso su due piani in grado di
ospitare sino a 142 alpinisti e dotato di servizi igienici e una grossa cucina e sala da pranzo, nonché
uno spazio all’ingresso adibito a luogo di asciugatura e “riposo” per l’attrezzatura alpinistica.
E’ un rifugio alpino a tutti gli effetti e i prezzi si allineano a quelli dei cugini Mantova e Gnifetti sul
versante opposto della Valle di Gressoney, pur rimanendo leggermente più economici.
Il solo pernottamento costa 19€ mentre per la mezza pensione ci vogliono 70€, questo per i soci
CAI, i non soci avranno una maggiorazione di 13€ su entrambi i prezzi.

La nostra esperienza è stata ottima, pur alloggiando nel locale invernale abbiamo trovato un
ambiente perfettamente riscaldato ed il personale del rifugio è stato molto gentile e disponibile, permettendoci di consumare ai tavoli della sala ristorante la nostra cena “al sacco”, non avendo usufruito della mezza pensione.


Secondo giorno
Sveglia alle 4:15, finalmente si fa sul serio!
La notte è passata quasi totalmente insonne, un po’ per la quota e un po’ per la giusta adrenalina, ma
lasciare il calduccio e il comfort delle brande è comunque un’impresa notevole a quell’ora!
Giusto il tempo di consumare una rapida colazione ed iniziano i preparativi, imbraghi, ramponi e
legature varie.
Alle 5 in punto siamo legati come salami alle pendici del ghiacciaio e pronti ad affrontare questa
nuova sfida.
I primi 400m di dislivello vengono coperti sul ghiacciaio del Felik, seguendo la traccia più o meno
marcata e facendo molta attenzione ad eventuali crepacci che potrebbero sfuggire alla luce della
torcia frontale.

Il pianoro prima del ripido pendio che porta al Colle del Felik

Dopo un’oretta di marcia arriviamo ad un avvallamento sul ghiacciaio dove decidiamo di fermarci
per riposare qualche minuto in vista dell’ultimo ripido pendio prima del Colle del Felik e della successiva cresta.
Qui iniziano a scorgersi le prime luci dell’alba, la quale ci sorprenderà i tutto il suo splendore
appena sbucati al Colle, regalandoci uno degli spettacoli naturali più maestosi ai quali ci sia mai capitato di assistere!

Colle del Felik 4061m


Lyskamm dal Colle del Felik

Il colle del Felik (4061m) è un luogo incredibile tanto quanto tutte le vette che gli fanno da cornice: verso est troviamo imponenti e maestosi i due Lyskamm (4532m e 4417m), mentre volgendo lo
sguardo verso Nord si aprono davanti a noi i rilievi Svizzeri, dominati dal Weisshorn (4505m).
Il nostro obbiettivo però si trova verso Ovest, perché è lì che si trova la cresta sud-est del Castore, stessa via di salita utilizzata da Croz quando violò questa montagna per la prima volta nel 1861.

In vetta alla punta Castore, 4226m!

La cresta è a dir poco splendida e noi terribilmente fortunati, non c’è una nuvola ne un filo di vento, il che ci consente di goderci ogni passo lungo una traccia comunque decisamente agevole e solo in alcuni punti esposta, e arrivare in vetta abbastanza velocemente e senza alcun problema.

La vetta meriterebbe un articolo a parte.
Il panorama è quanto di meglio un amante della montagna possa desiderare: Grandes Murailles,
Cervino, Dent d’Herens, massicci del Breithorn e del Rosa, Lyskamm, alpi svizzere e subito sotto
di noi Roccia Nera e Polluce, senza dimenticare in lontananza le Grand Combin ed il massiccio del
Monte Bianco, ed il più lontano Gran Paradiso.


Tutto ciò si staglia davanti a noi, immobile e grande, tremendamente bello e imponente, tanto da risvegliare una lieve sensazione di timore reverenziale.
Le emozioni si alternano, dal sollievo per il termine della salita alla moderata apprensione per la
discesa, ma alla fine a farla da padrone è il senso di felicità e libertà che si prova in posti del genere,
che più di qualsiasi altro luogo ci ricordano quanto siamo in realtà piccoli e insignificanti rispetto a madre natura, e quanto stiamo stupidamente sprecando il nostro tempo e le nostre risorse per correre dietro ad una felicità materiale la quale continuerà inesorabilmente a sfuggirci, quando basterebbe alzare lo sguardo e guardarsi intorno, per trovare la bellezza e la pace di cui avremmo bisogno in tutto ciò che ci circonda e che noi nemmeno notiamo.


Un quarto d’ora in vetta è più che sufficiente per riempire gli occhi di bellezza e l’album di foto
ricordo, ora bisogna affrontare velocemente la discesa, perché da umili principianti quali siamo un
ghiacciaio che inizia a scaldarsi non è uno dei luoghi in cima alla nostra “bucket list”.

Lifestyle fügassa

Seguiamo a ritroso la via di salita con una breve sosta focaccia (Genova, ho scritto Genova!) al colle del Felik e in due ore siamo di nuovo al rifugio.
Purtroppo la discesa non finisce qui e sarà la parte più lunga e noiosa della gita, dovendo ancora coprire a ritroso i 900m di dislivello tra il rifugio e il colle di Bettaforca, dove riusciamo a prendere l’ultima seggiovia del mattino verso Sant’Anna e poi Staffal.


Arriviamo a valle alle 13 e il nostro occhio continua ad essere attratto dalle vette innevate dove ci trovavamo poche ore prima, e che ancora non ci sembra vero aver toccato e vissuto così
intensamente.


Non esagero quando dico che questa per noi è stata e la sentiamo come una piccola impresa pur sapendo essere, per molti, poco più di un allenamento.
Questo perché abbiamo deciso di organizzare e affrontare il tutto senza alcun aiuto esterno o Guida
Alpina, facendo affidamento esclusivamente sulle nostre capacità.
Per questo motivo siamo tornati a Genova con un bagaglio di stima e fiducia reciproche
ampiamente arricchito e la sensazione di aver scalato il nostro minuscolo K2.
In attesa che a questa vetta alpina ne seguano altre posso dire con certezza che il Castore lo sentirò
sempre un po’ “mio”, lassù ci ho lasciato un pezzetto di cuore e lì rimarrà per chissà quanto.

Below, as always, breve carrellata di ricordi:

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