Pizzo d’Uccello, parete Sud: Diedro Sud + Via Tiziana

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“Si erge sublime, scosceso, isolato il Pizzo d’Uccello, che è senza contrasto la più pittoresca delle piramidi della catena, e che, quale appare da questo punto e da tutta la Lunigiana, merita il nome di Cervino Apuano

G. Dalgas

“Guarda un po’ bene la relazione, perché io sono convinto di andare ma 5c…ok che c’è qualche vecchio chiodo ma da integrare non è banale”.

Le nostre conversazioni del pomeriggio precedente suonavano così, un misto tra la voglia di mettersi alla prova e i dubbi sulle nostre reali possibilità di salire due vie di questo tipo e difficoltà.
Fortunatamente ha prevalso la prima e il giorno dopo abbiamo percorso due delle più belle vie lunghe delle Alpi Apuane: il Diedro Sud e la Via Tiziana, logico e splendido concatenamento sulla parete Sud del Pizzo d’Uccello.

Come al solito, questo scritto vuole essere un racconto della nostra esperienza e non deve assolutamente sostituirsi alle relazioni dettagliate che si trovano redatte in rete, e delle quali metterò i link in fondo alla pagina.

Avvicinamento

Le numerose relazioni indicano come punto di partenza Vinca, mentre noi abbiamo preferito salire a Foce di Giovo dalla Val Serenaia e perdere qualche decina di metri di quota prima di attraversare i pendii erbosi sotto la parete e raggiungere l’attacco del Diedro Sud.
Non saprei dire quale sia effettivamente meglio in termini di tempo e dislivello, probabilmente si equivalgono, la nostra è stata una scelta dettata esclusivamente dalla preferenza personale per la salita a Foce di Giovo rispetto a quella da Vinca.
L’attacco del Diedro Sud rimane comunque molto evidente e si raggiunge con relativa facilità; qualche ometto sparso qua e là aiuta nella ricerca della traccia migliore, a patto di avere abbastanza occhio per vederli.

Diedro Sud, 3h

Abbiamo raggiunto l’attacco in poco più di un’oretta e dopo i preparativi ci siamo approcciati alla via sbagliando l’attacco. Chi ben comincia…
Questo è successo perché il canale erboso sembrava troppo “sporco” e non si vedevano chiodi, così ci siamo fatti ingannare da un paio di fix un paio di metri a destra.
Inutile dire come fosse un’altra via e il primo tiro si inerpicasse proprio su per il canale.


L1 (40m, 1 chiodo) fila via sostanzialmente liscio su difficoltà fino al III+, e aiuta a scaldarsi in vista di L2 e L3 che sono (insieme a L5) i tiri più impegnativi della via.
L2 (40m, V-, 3 chiodi) in particolare è il tiro a nostro avviso più bello delle due vie, sicuramente psicologico ma da solo ripaga della giornata.
L3 (40m, V, 5 chiodi) è ugualmente impegnativo ma meno estetico sviluppandosi prevalentemente all’interno di un caminetto con anche una discreta quantità di erba a rendere più disagevole la salita.
L4 (40m, IV+, 4 chiodi) inizia con una placca interessante per poi risalire un ampio e facile diedro in cui bisogna stare molto attenti a non scaricare sassi vista la gran quantità di sfasciumi presenti.
L5 (25m, V+, 2/3 chiodi/fix) si sviluppa all’interno di uno stretto camino da risalire prevalentemente in contrapposizione. Alcune relazioni suggeriscono un possibile aggiramento del grado più alto lungo la placca a sinistra ma chiodi e fix si trovano proprio sulle difficoltà all’interno del camino, quindi è effettivamente aggirabile solo a patto di trovare dove proteggersi. Anche qui in prossimità della sosta (da attrezzare a differenza di L1/L4) ci sono moltissimi detriti anche di notevoli dimensioni.
L6 (30m, IV, 1 chiodo) è facilmente proteggibile in numerose fessure e volendo, per chi fosse alla ricerca di ulteriori difficoltà ed emozioni, è presente una variante (V) spittata a sinistra della sosta.
La sosta in uscita è da attrezzare collegando i diversi spit presenti.

Il panorama dal termine del Diedro Sud è magnifico, la vista spazia dalle vette della Val Serenaia al monte Sagro e l’appennino ligure.

Via Tiziana, 3h

Il diedro nerastro che ne costituisce l’attacco si individua molto bene dal termine della prima via e si raggiunge percorrendo una poco evidente traccia su cenge e pendii erbosi.

Proprio questo diedro (25m, V+ sostenuto, 2 spit nella parte bassa) ci ha tenuto compagnia per almeno un’oretta ed è sicuramente il tiro delle vie due vie. Infatti, le difficoltà sono costanti sul V+/V e nella parte alta, dove “fa più caldo” non ci sono protezioni, pur essendo ben proteggibile date le numerose ed evidenti fessure.
I due tiri successivi non li abbiamo trovati belli ed entusiasmanti quanto dicono le diverse relazioni che si trovano in rete. Questo perché probabilmente iniziavamo ad accusare stanchezza, unito al fatto che abbiamo (ho) sbagliato strada facendomi trarre in inganno da due chiodi che sembravano corrispondere ad una sosta, salvo poi non rivelarsi tale.
Da qui, non sapendo più dove fosse L4 e con il tramonto incombente, ci siamo trovati obbligati a fare un tiro alternativo in traverso ascendente verso destra per uscire sull’antecima del Pizzo d’Uccello, da cui poi abbiamo raggiunto la vetta attraverso la via normale.

“Premio” e discesa

La fatica è stata ampiamente ricompensata da uno dei tramonti più belli che ci sia mai capitato di vedere. La vetta del Pizzo d’Uccello si era improvvisamente trasformata in un balcone con vista che spaziava dalle isole d’Elba, del Giglio e della Corsica al Golfo dei Poeti fino al Monviso. Il tutto sempre “custodito” dalle vicine Alpi Apuane tra le quali spiccavano Grondilice, Sagro, Pisanino e l’ombra di K2esca somiglianza della vetta su cui ci trovavamo in quel momento.

Un’emozione così ha il potere di far dimenticare ogni fatica e ogni difficoltà, oltre che essere quasi impossibile da riportare in un testo scritto. Ci si siede e si ammira. In silenzio.

Inutile dire che ci abbia trasportati così tanto da viverlo fino all’ultimo raggio e dover poi percorrere gran parte della via normale in discesa al buio, fortunatamente avevamo con noi le frontali e conoscevamo già la via dal giorno della nostra salita alla cresta di Nattapiana.

Conclusioni e consigli

Queste due vie sono tra le più belle e difficili che ad oggi ci sia mai capitato di percorrere. Sicuramente per arrampicatori navigati le difficoltà sembreranno piacevoli e divertenti, per chi invece non va oltre il 6a/6a+ in falesia possono essere davvero impegnative.
Inoltre, è sicuramente necessaria una buona confidenza sia con la roccia apuana che con la progressione quasi esclusivamente trad, visto le poche (e spesso vintage) protezioni fisse in loco.

Passando a qualche consiglio di carattere “tecnico”, a noi è capitato di utilizzare friend fino al 2BD e numerose fettucce. Sicuramente sarebbe bene avere le misure 0.3, 0.4 e 0.5 doppiate.
Rinvii normali da falesia ne avevamo quattro e non li abbiamo quasi mai utilizzati tutti nello stesso tiro, meglio averne qualcuno in più alpinistico e limitare questi.

Se è vero che l’avvicinamento è sostanzialmente uguale da Vinca o dalla Val Serenaia, lo stesso non si può dire per il rientro: una volta giunti a Foce di Giovo il rientro a Vinca è più lungo sia come dislivello che come sviluppo e, specie se ci si riduce a fine giornata, può essere conveniente aver lasciato la macchina al rifugio Donegani o al Val Serenaia.

Queste sono vie che non a caso sono diventate delle classiche e risultano molto frequentate, vuoi per la bellezza vuoi per le difficoltà “abbordabili”, ma consiglio di farle se si è sicuri su quei gradi e possibilmente non nella finestra estiva in quanto sono esposte a sud e risulterebbero un forno.

Relazioni

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