G. Vattimo: “Ma allora perché vai in montagna?”
Walter Bonatti: “Una domanda molto complessa: in fondo nessuno ancora vi ha risposto esaurientemente. Potrei citare la risposta che diede Mallory quando gli fu chiesto perché tentasse le scalate dell’Everest: “perché è là”.”
estratto della trasmissione “Orizzonte” del 21 maggio 1955
Difficile spiegare la scelta della traversata del Pic du Midi d’Ossau.
Avremmo potuto goderci ancora qualche giorno il beach volley e le spiagge della Cantabria, le Asturie, magari provare il surf con i nostri amici genovesi incontrati quasi per caso proprio in riva all’oceano. Avremmo potuto spendere ancora un paio di giorni nei Picos de Europa, parco per cui in fondo avevamo organizzato tutta questa vacanza.
Avremmo potuto, ma l’idea di aggiungere qualche ora di macchina solo per inserire in itinerario il Pic du Midi d’Ossau ci sembrava la migliore del mondo.
E perché? Difficile rispondere, forse perché le sue forme ci ricordano una montagna a noi particolarmente cara, forse perché non siamo questi grandi fan delle spiagge. O forse, “perché è là”.
E allora, che traversata del Pic du Midi d’Ossau sia.
La montagna simbolo dei Pirenei Francesi e il suo “Pennino” ci attendono.
Avvicinamento
Con gli occhi colmi di sonno e il cuore di tristezza all’idea di allontanarci dall’incantevole borgo di Sallent de Gallego, alle 5:30 lasciamo la stanza dell’Hostal Centro e saliamo sulla fedele Astra, direzione Col du Portalet.
Non sono nemmeno le 6 quando arriviamo al parcheggio sottostante la Cabanne de l’Araille, dove siamo chiamati a lasciare l’accogliente e caldo sedile per misurarci con la frizzante temperatura esterna.
Manco a dirlo, nemmeno il tempo di mettere gli scarponi sul sentiero che sbagliamo (sbaglio) strada e finiamo a vagare per prati e pascoli umidi. La deviazione dura poco e ritroviamo subito il percorso, ma abbastanza per darci un assaggio profetico della giornata.
Dopo circa un’ora di cammino al buio, appena l’aurora ci consente di intravedere tra le nubi la sagoma del Pic, lasciamo il sentiero che porta al rifugio e ci dirigiamo verso il Col de Peyreget risalendo una pietraia di grossi blocchi segnata qua e là da qualche ometto.
Incrociamo l’evidente sentiero proveniente dal rifugio alle prime luci dell’alba, e questo ci velocizza non poco la progressione. O meglio, ce l’avrebbe velocizzata, se non avessi impiegato minuti e minuti a cercare di catturare ogni istante di quell’alba a dir poco magnifica che donava incredibili colori a tutto ciò che ci circondava.
Alle 7:50 raggiungiamo il fatidico Col de Peyreget. Ormai il sole è sorto e la vista su ciò che attende da qui in poi non potrebbe essere più chiara.
Petit Pic du Midi d’Ossau 2807m
Dal colle lasciamo il sentiero che scende verso la valle dei laghi d’Ayous per prendere la traccia che costeggia la prima parte di cresta e risale dei ripidi pendii di sfasciumi ed erba.
Scrivere una vera e propria relazione di questa salita è difficile, in quanto per sua natura è molto confusa e confusionaria. Noi abbiamo seguito un po’ a spanne e a buonsenso la traccia GPS che abbiamo scaricato da Camptocamp e un po’ le tracce e gli ometti sul posto.
La prima parte è tutto sommato facile e intuitiva, si risalgono dei pendii erbosi e delle pietraie passando spesso da un lato all’altro della cresta, ma senza praticamente mai percorrerla sul filo.
Quando in alto il terreno si fa meno detritico (e decisamente meno erboso), reperiamo un canalino esposto a Sud-Est dapprima abbastanza ostico (III/III+) e successivamente più dolce e facile.
Noi non l’abbiamo fatto per eccesso di sicurezza, ma consigliamo di fare un tiro di corda (da proteggere) almeno per i primi 15/20 metri.
Quasi alla strozzatura del canale, l’abbiamo abbandonato sulla sinistra, superando una spaccatura con una piccola “enjambeé”. Da qui abbiamo seguito la traccia che solca la facile pietraia fino in vetta al Petit Pic.
La vista sul versante nord del Grand Pic e sul prosieguo della salita è impressionante. Da qui appare veramente assurdo risalire quella parete con del solo III grado e “qualche IV” e ne siamo fortemente scettici.
Fortunatamente, anche stavolta, avevamo torto.
Discesa dal Petit Pic a La Fourche
Ora ci aspetta la parte probabilmente più ostica. Dobbiamo scendere a La Fourche, stretto ed esposto intaglio tra le due vette, da cui saliremo al Pic du Midi arrampicando l’ultima parte di parete Nord. Ma prima bisogna arrivare là sotto.
Sappiamo dell’esistenza di (almeno) una calata da 40m che secondo alcune relazioni è stata “spezzata” in due da 20m con una sosta intermedia. Tanto meglio, dal momento che abbiamo con noi una singola da 60m.
Dalla vetta del Petit Pic percorriamo a ritroso la pietraia sommitale sino ad un grosso ometto a quota 2750m posto in corrispondenza di una traccia che si stacca in direzione dell’intaglio. Andrà verso le calate, pensiamo. E decidiamo di seguirla.
Dopo pochi metri la facile traccia scompare e ci troviamo a proseguire in discesa su placche facili ma molto esposte. Troviamo la calata solo dopo aver percorso una buona trentina di metri di dislivello in discesa, ed è tutta un programma.
Una manciata di cordini e fettucce girate attorno ad uno spuntone, unite da un maillon di napoleonica fattura.
Da un rapido sguardo oltre il salto appare subito evidente come disarrampicare non sia un’opzione percorribile, così ci facciamo coraggio forti del fatto che uno dei cordoni, il più grosso, appaia “quasi nuovo”. La discesa inaugurale tocca a me.
Appena inizio la discesa mi scontro con un altro dubbio: dopo pochi metri si arriva sul filo di un costone, da che lato si scenderà? Seguendo la logica penso sia giusto seguire la linea più verticale possibile rispetto al maillon, e vado a sinistra (faccia a monte). E per l’ennesima volta la (mia) logica applicata si rivela un flop mostruoso. Infatti, finisco su una cengia espostissima che non porta da nessuna parte e senza altre calate attrezzate (o attrezzabili). Dopo vani tentativi di trovare un’uscita, mi rassegno a risalire la corda sino al costone e scendere dall’altro lato.
Lato che si rivela quello giusto e con qualche altro metro di disarrampicata a fine doppia, giungiamo alla tanto agognata Fourche.
Ma quella doppia era breve, massimo 15m, quindi dov’è la calata da 40m? E le due da 20m in cui sarebbe stata divisa?
Lì per lì non ci poniamo il quesito, siamo all’intaglio e questo ci basta, ma una volta tornati a valle trovo la risposta. Curiosando tra le relazioni di Camptocamp, trovo una relazione che spiega l’arcano: la nostra discesa non è altro che una variante (più pericolosa e che sconsiglio) rispetto alla discesa “ortodossa”, la quale invece si trova all’interno del canalino subito sotto la vetta del Petit Pic.
Rosso: il nostro percorso (tratteggiata la parte a piedi).
Blu: la calata da 40m, decisamente più sicura e rapida.
All’arrivo delle calate si disarrampica per facili cengie (I/II) fino a La Fourche (giallo).
Pic du Midi d’Ossau 2884m
Dall’intaglio ci avviciniamo, seguendo una vaga traccia, alla parte rocciosa della parete. Questa è di gran lunga la parte più fastidiosa della salita al Grand Pic, per ogni metro guadagnato verso l’alto, sembra di perderne due verso valle.
Quando finalmente giungiamo alla base del muro, ci si presentano due opzioni: traversare a sinistra per placche o risalire un diedro verticale dritto davanti a noi. Qui, accade l’impensabile: prendiamo la (forse prima) decisione corretta della giornata. Traverseremo le placche.
Per la prima volta decidiamo di legarci in cordata e fare un tiro, impensabile muoversi su quel terreno senza sicurezze. Ad appena pochi metri dalla partenza, trovo la conferma che siamo sulla via giusta: un cordino su clessidra e, addirittura, un chiodo poco più avanti. Ora sì che l’umore, rabbuiato dalle disavventure della discesa dal Petit Pic, subisce un’impennata decisiva per la buona riuscita della giornata.
Dopo qualche metro di traverso (IV), il tiro si infila in uno stretto ma facile canalino (III) da seguire per una ventina di metri, sino ad uscire su una comoda cengia. Qui troviamo addirittura un cordone su clessidra per fare sosta.
Fidarsi è bene ma…integro la sosta con un friend e una fettuccia e recupero Jack. Il quale evidentemente deluso dalla facilità della gita sino a qui decide di lasciare una fettuccia a metà tiro, così che il sottoscritto (nonché legittimo proprietario della suddetta fettuccia) lo debba costringere a calarsi per recuperarla.
Da qui in poi facciamo altri quattro tiri di corda tutti per lo più analoghi: canali di III con un paio di passaggi di IV, da proteggere integralmente e con soste da attrezzare con friend, nuts e cordini. Dalla prima sosta su cordone alla vetta, non incontriamo più nessun tipo di materiale in posto. Tirchi.
Questi diedri e canali in realtà sono tutti molto molto simili quindi non siamo sicurissimi di essere sulla linea corretta, ma finché restiamo nel facile questo non ci preoccupa più di tanto. E alla fine, dopo ore all’ombra della Nord, il sole mi da una sberla negli occhi che sa di fine.
Dopo quasi sei ore e mezza sono appena sbucato dall’ultimo canale, a pochi metri dalla cresta sommitale. All’incredulità di Jack rispondo che “non c’è nulla di più alto da salire” quindi sì, quella dev’essere la fine del viaggio.
Beninteso, in salita, perché la discesa è lì che attende la fine del nostro relax in vetta. E allora tanto vale affrontarla (quasi) subito. Tanto, ci diciamo, non potrà essere peggio di quello che abbiamo appena salito.
Discesa
Incredibilmente, per la prima volta oggi, abbiamo ragione.
Troviamo la discesa dalla normale molto più semplice di quel che credevamo, tanto da chiederci come possa essere considerata un’ascensione di difficoltà PD. Infatti, per la maggior parte del percorso si tratta di un evidente traccia su sfasciumi e sabbia, mai esposta e che non richiede l’ausilio delle mani.
Il grado alpinistico è giustificato dalla presenza, all’inizio, di qualche passaggio di III dove sono presenti delle soste con anello di calata (ne sono state attrezzate tre, noi ne abbiamo utilizzate due).
Nonostante ciò, a nostro parere non si discosta comunque di molto da un F/F+.
In ogni caso c’è da mettere in conto moto “traffico” e attesa, soprattutto in corrispondenza delle calate. A noi è capitato di aspettare una buona mezz’ora per il nostro turno.
Le difficoltà della via normale terminano alla base della terza calata, dove ci si innesta sul sentiero che in 45′ conduce al Refuge de Pombie.
La nostra traccia GPS mostra la mia splendida idea di tagliare i ripidi prati anziché seguire il facile percorso sino al Col de Suzon. Abbiamo guadagnato dieci minuti scarsi a fronte di innumerevoli capitomboli o simil tali. Sconsigliato.
Dal Pombie la macchina ormai dista solo un’oretta, che copriamo in quasi la metà del tempo spinti dal desiderio di annegare sotto una doccia fresca e goderci una deliziosa cena. In questo preciso ordine.
Considerazioni
Le vie che salgono in vetta a questa montagna sono molte e non potrebbe essere altrimenti, visto che parliamo del simbolo dei Pirenei Francesi. Partirò dicendo che considererei la via normale solamente in caso di mancanza di alternative per la capacità della cordata, per il tempo o qualsiasi altra variabile. Se potete scegliere, usate la normale solamente per scendere.
Naturalmente esistono vie più lunghe e ben più impegnative di quella percorsa da noi, ma questa traversata ha un pregio che la rende, a mio modo di vedere, unica. La bellezza e le caratteristiche della linea.
Su questa montagna non c’è qualcosa di più estetico ed elegante che non sia la traversata di cresta dal Col de Peyreget Col de Suzon. In più, si trova un po’ di tutto, calate, progressione in conserva, tiri di corda, diedri, placche…splendida, e completa in ogni sua parte.
Naturalmente, non è una via da affrontare alla leggera. Occorrono, più che doti arrampicatorie particolari, preparazione ed esperienza alpinistica nella progressione su terreni di questo genere, anche e soprattutto per non allungare i tempi (di per se già importanti). La gradazione proposta da Camptocamp di AD+ penso sia in linea con le difficoltà, ma bisogna tener presente la durata di queste difficoltà. Ore e ore.
Noi ne siamo rimasti entusiasti e siamo sicuri che una cordata sufficientemente esperta non potrà fare a meno di apprezzare le linee della traversata del Pic du Midi d’Ossau!
I nostri numeri e qualche link utile
Cabanne de l’Araille – Col de Peyreget: 1h30′
Col de Peyreget – Petit Pic du Midi d’Ossau: 2h45′
Petit Pic – La Fourche – Pic du Midi d’Ossau: 3h40′
Pic du Midi d’Ossau – fine difficoltà: 2h
Fine difficoltà – Cabanne de l’Araille: 1h40′
Relazioni
Via normale: Gulliver – Camptocamp
Cresta Sud del Petit Pic: Camptocamp
Traversata Petit Pic/Grand Pic: Camptocamp (da qui noi abbiamo scaricato la traccia GPS che talvolta ci è tornata utile ad orientarci soprattutto lungo la cresta del Petit Pic)
La nostra traversata su Strava
La nostra traversata su WikiLoc
Che meraviglia di itinerario.
Non ho modo, di poter parlare di Alpinismo, ma del mio approccio a questo mondo sì. Tralascio le difficoltà oggettivo e scrivo una veloce opinione personale su questa traversata.
Sono Jack, allegro e spaventato compagno di alcune delle avventure già scritte sul blog. Sono scarso, scarsissimo anzi, ma curioso e credo sia proprio questo il motore di una vera avventura, grande o piccola che sia, ma in questo caso, parlando di me, ENORME.
Ho avuto la fortuna di condividere questa esperienza con un grandissimo compagno di avventure e senza vergogna vi dico che senza di lui questo giro sarebbe stato un mistero non risolto. Perché è questo il bello della montagna, la condivisione. Lui mi aiuta a salire, io lo aiuto a perdere punti per l’accesso al paradiso. Lui mi tira su come un salame e io gli verso un calice di vino, come ogni degno aperitivo necessita.
Andate in montagna, andate con prudenza e curiosità e circondatevi del vostro personale Dario, che vi aiuterà a togliervi enormi soddisfazioni.
P.S.: bello il Pic du Midi, ma il Penna…